===== CURIOSITA' =====
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Ovviamente è impossibile riportare tutte le informazioni vere o di fantasia che riguardano il Camino, per cui questa pagina vuol'essere solo un diversivo, una divagazione, un qualcosa in più che serva a chiarire con leggerezza storica o aneddotica secondo i casi quelle poche storie che si raccontano per la maggiore dai Pirenei a Santiago.
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I sogni di un pellegrino alla frontiera pirenaica
La targa bronzea posta nell'Anno Jacobeo 1999 alla frontiera pirenaica lungo il Camino Frances racconta in francese di un immaginario pellegrino che si ferma in quei luoghi così carichi di gloriose gesta e sogna gli eventi e i personaggi che ne sono protagonisti. Chi riesce a catturarne il significato si immerge a sua volta nell'immaginario vivendo quei giorni in un sogno ad occhi aperti.
... Stamattina il tempo è molto cupo alle porte di St-Jean-Pied-de-Port e Jerôme sta camminando.
Durante la salita verso Hontto, la leggera pioggerellina sul suo viso si mescola alle gocce di sudore.
Presto scompare, avvolto nella nebbia, come un uomo che cammina attraverso un muro: in questa galleria biancastra, a parte il suo bastone, le sue scarpe e un pezzo di asfalto, niente può distrarlo. Il silenzio esterno rende i suoi pensieri quasi rumorosi. D'altronde non importa se c'è il sole o la pioggia, il silenzio o il rumore, il giorno o la notte. Il cammino verso Santiago in Galizia è ancora lungo.
Sono quasi le 9 del mattino del 25 luglio e Jérôme sta ancora camminando.
Una croce di pietra. Abbandona la strada dura e nera e si incammina sull'erba bassa che ricopre il tracciato dell'antico sentiero. A poco a poco la nebbia diventa foschia. Si dissipa saggiamente, accarezzando le rocce di Leizar Atheka. Le avvolge e ne trasforma i contorni in dervisci fantasma: il pellegrino Girolamo intravede, in attimi fugaci, il pallido disco del sole: in mezzo al cammino, stanco, posa la borsa, si siede e vi si appoggia. I suoi occhi si chiudono lentamente sull'esercito di piccoli faggi in agguato di fronte, a dieci passi di distanza.
Di fronte, a dieci passi di distanza, sorride Valerio Cornivolo, il vecchio centurione della Legio III Flavia: sta tornando in Aquitania attraverso queste montagne: le battaglie e la ferita subita in Cantabria gli tornano in mente. Lo sguardo del console Ottavio Augusto e quel sorriso della bella iberica sul ponte di Deobriga.
Vicino al burrone, Bernard-Antoine Carrère fa una smorfia: lì, il 25 luglio 1813, un colpo furioso di sciabola inglese gli ha mozzato metà avambraccio: tante campagne gloriose con la sua 50a linea senza un graffio, tante battaglie vittoriose, da Ulm a Salamanca, per invecchiare - mezza paga e quasi monco.
E là, a dieci passi di distanza, l'emiro Abb-al-Rahman al-Gateki prega e ringrazia Allah: tra queste due rocce e molto più in là, l'erba è scomparsa sotto gli zoccoli delle innumerevoli cavalcature del suo invincibile esercito: e lontano, verso Poitiers, Carlo detto Martello, duca d'Austrasia, prega e implora l'aiuto di Dio.
Un po' più in basso, Arzain Zahar sta meditando. L'Orhy per orizzonte; la sua unica fortuna è questo piccolo gregge che accompagna dalla cima del colle alla valle: la sua vita e la sua morte sono qui: e al centro del cerchio di pietre, laggiù, giacciono i carboni della pira: la pira che consumò, molte lune fa, i resti di suo padre.
Un cavallo nitrisce. Jerome sussulta leggermente: ha una vaga sensazione di secchezza alla gola, sta sonnecchiando.
Non lontano dallo stretto passaggio, Aymeri Picaud sta bevendo. La sua zucca è quasi vuota, e anche il suo stomaco: il fardello diventa pesante e le leghe fino a Compostela sono lunghe: dov'è questo famoso priorato di Roncisvalle e il suo pane fresco, la sua zuppa profumata, il suo vino rosso rubino e la sua paglia morbida?
A dieci passi di distanza si nasconde anche Charles Dinigo: la Gestapo alle calcagna, vent'anni e la voglia di combattere: alle torture del torto di Hâ, meglio l'arresto da parte di Carlos Sanchez, la guardia civile franchista che sorveglia, dalla sua baracca, la frontiera a Bentarte: ... l'accampamento di Mirandas, Gibilterra e chissà? forse a Londra.
Lassù, a mille passi di distanza, Lupo, duca di Vasconia, è paziente: dalla cresta di Xangoa, vede tutto l'esercito del Grande Carlo: di fronte, dove si trovano fanti franchi con gli ostaggi, baschi e musulmani.
Fino ai muli in fondo, carichi del bottino preso ai Navarri a Pamplona.
Tra un'ora, in mezzo a una tempesta di pietre e frecce, Roland morirà e con lui Eggihard, Anselm e molti altri.
Lì vicino, sul sentiero, Jeanne trema. Il convoglio di carri e carrozze è bloccato dalla neve. Sua Altezza Reale la Principessa Elisabetta di Valois, promessa sposa del signore di tutta la Spagna, Filippo II, è febbricitante. Jeanne le serve la pozione prescritta dal chirurgo signor Gaston Moncade: la assaggia, fa una smorfia e la getta a dieci passi di distanza.
Dieci passi, cento passi, mille passi, la nebbia scompare, la nebbia è scomparsa: il sole scalda il volto di Girolamo: il suo ricordo si fonde nella Memoria, la sua storia nella Storia.
Apre lentamente gli occhi, ha sete: il profumo di Jeanne danza nella brezza del sud: da qualche parte, la campanella di Aymeri suona a cappella: verso Elizachar, un cavallo nitrisce.
È tempo di seguire il suo cammino...
Anno Santo di Compostela 1999"
I simboli del cammino e le loro storie:
Flechia amarilla, Concha, Caracol.
Flecha amarilla
Si dice: «Lungo il Cammino di Santiago non ci si perde mai.»
E in effetti è abbastanza vero: salvo essere particolarmente distratti è davvero difficile perdersi.
Ma fino a un tempo non tanto lontano non era proprio così: il cammino è lungo e perdersi era abbastanza facile.
Fu così che, in tempi recenti, il sacerdote Elías Valiña, parroco di O Cebreiro "stanco" di andare a "ripescare" i tanti pellegrini che si smarrivano, un bel giorno del 1984 ebbe un'idea luminosa. Vedendo degli operai che effettuavano lavori stradali in quella zona, chiese se potessero regalargli la vernice gialla avanzata che usavano per la segnaletica e inizò a tracciare delle frecce gialle nei punti più incerti del sentiero per indicare inequivocabilmente la direzione da seguire per Santiago de Compostela.
Da quel momento, visto il successo dell'iniziativa, il sistema di indicazione venne adottato lungo tutto il Camino e non essendoci altri indicatori ufficiali la Flecha amarilla divenne l'indicatore ufficioso di direzione verso Santiago de Compostela. Non solo sul Camino Frances, ma anche sugli altri Caminos spagnoli.
Oggi la Flecha amarilla è spesso usata per indicare la destinazione anche su tantissimi altri cammini di fede non necessariamente per Santiago.
Caracol
La Flecha amarilla è collocata sempre in punti strategici in modo da risultare ben visibile nel giusto verso di percorrenza per Santiago. E questo sarebbe quanto basta per il pellegrino diretto verso il Santo, anche perché oggi il pellegrinaggio è prevalentemente "a senso unico": da casa a Santiago per poi tornare a casa con i mezzi di trasporto "civili".
Ma non sono pochi quelli che giunti in Pratza do Obradoiro tornano sui propri passi per rientare a casa.
C'è solo un problema: a meno di avere l'orientamento del piccione viaggiatore, su un tragitto di 800 chilometri risulta spesso difficile vedere le frecce gialle dell'andata per leggerle a ritroso.
Così da una ventina d'anni a questa parte, ignoti hanno preso l'iniziativa già adottata da padre Valiña ma collocando in punti opportuni un simbolo diverso che non possa essere confuso con quello dell'andata. El Caracol Azule, una freccia blu a forma di chiocciola stilizzata indica la giusta via a chi fa il Camino de vuelta, per tornare a casa.
Concha
C'è anche un terzo simbolo che troviamo sul Camino: la Concha. La conchiglia.Per la verità la Concha è il vero simbolo ufficiale del Cammino; quello usato sulla cartellonistica stradale, e non solo. Ma non è un vero simbolo indicatore di direzione. E' usato più che altro per informare che si si trova sul Camino, o per dare altre informazioni che lo riguardano. E' usato anche come identificatore di "pellegrino viaggiante", appendendo la conchiglia allo zaino.
Ma com'è nato l'uso della concha?
Contrariamente a quanto si può pensare, le origini si perdono nei secoli, nei primi pellegrinaggi verso Santiago. Non era ne' indicatore di direzione ne' identificatore dello status di pellegrino. La conchiglia infatti accompagnava il pellegrino solo sulla strada del ritorno. Perché?
Anticamente la Chiesa concedeva indulgenze anche a pagamento, e persino per interposta persona.
Così chi aveva qualcosa da espiare poteva farlo per procura, incaricando qualcuno di effettuare il pellegrinaggio per proprio conto.
In mancanza di prove documentali come quelle dispobili oggi, e non essendo ancora stata pensata la "Compostellana" come attestazione dell'avvenuto pellegrinaggio, il pellegrino incaricato, una volta arrivato a Santiago e prostratosi al Santo, proseguiva il viaggio fino all'oceano, a Finisterre, alla fine del mondo conosciuto, e lì sulle spiagge oceaniche sferzate dai venti raccoglieva uno dei tanti gusci di «capesante» sbattute sulla sabbia dai marosi.
Quella era la prova che era arrivato a Santiago (e oltre), da esibire a chi gli aveva commissionato l'impegno.
Oggi la conghiglia si acquista in qualsiasi negozio di souvenir lungo il Cammino e c'è chi la appende allo zaino già dalla partenza da Saint-Jean-Pied-de-Port se non addirittura da casa.
Zubiri - El Puente de la rabia
In una delle prime tappe del Camino Frances, tra Roncisvalle e Pamplona c’è il passaggio obbligato al piccolo villaggio di Zubiri il cui nome in lingua basca significa “villaggio del ponte”.
Ma come mai questo appellativo? Ci sono altri ponti antichi lungo il Camino Frances che hanno dato nome ai villaggi e alle città che gli sono sorti intorno. Ma mai nomi così generici.
Il motivo è che il nome non è generico, perché non è "UN ponte", ma "IL ponte"! Questo ponte a due archi è particolare; ha addirittura proprietà taumaturgiche! Almeno secondo la leggenda.
La costruzione del ponte sul Rio Arga data all’XI secolo, epoca in cui tutto ciò che ruota intorno a strani eventi non tarda a diventare miracoloso, o comunque degno di venerazione, o nel più umile dei casi assurgere a leggenda.
Si narra così che durante gli scavi per le fondamenta del pilone centrale (collocato per difficoltà di costruzione in una zona di secca durante il regime normale del fiume) vennero alla luce i resti di una giovane donna che inspiegabilmente profumava di un aroma soave.
Non si sa perché ma i resti furono attribuiti a Santa Quiteria anche se i conti non tornavano perché la Santa morì 600 anni prima e il suo sarcofago fu sin da allora custodito in un villaggio francese vicino a Bayonne. Ma senza la salma, anch’essa oggetto di leggenda. Pare infatti che la donna, giovane principessa galiziana di fede cattolica, per evitare un matrimonio combinato da suo padre, e a causa del quale avrebbe dovuto abiurare, fuggì rifugiandosi nel piccolo villaggio di Aire nelle Ardenne francesi. Ma inutilmente, perché il padre la fece cercare dai suoi sgherri con l’ordine di decapitarla.
Si narra che in quel frangente un cane rabbioso afferrò per i capelli la testa mozzata della giovane. Questa azione diffuse la convinzione che l’evento avesse del soprannaturale e che la donna fosse in uno stato di contrasto contro i cani rabbiosi: la bestia infetta diffonde la malattia mentre Quiteria in contrasto con il cane untore la guarisce.
Da qui il passo è breve:
1)- Quiteria è Santa Quiteria;
2)- il suo corpo è stato trovato alla base del pilone centrale del ponte;
3)- e con qualche piccola formula magica, facendo girare tre volte gli animali intorno alla santa che non c’è più, e quindi intorno al pilone, questi guariscono se malati, o sono protetti se sani.
La leggenda è pronta e confezionata, e il ponte del paese diventa “Puente de la rabia”!
Óbanos - Il miracolo di Felicia
Poco prima di Puente la Reina troviamo il pueblo di Óbanos che su una facciata di una casa sulla strada principale fa bella mostra di un murale titolato «Óbanos – Villa del misterio» che raffigura una esile giovinetta sorretta da un uomo nell’atto di ucciderla.
Sono tante le leggende che accompagnano il viaggiatore sul Cammino di Santiago, e molte di queste sono a sfondo cruento con l’obiettivo di giustificare un miracolo o un evento soprannaturale o “semplicemente” eroico. La leggenda del Misterio de Óbanos è una di queste.
Ambientata nel periodo medioevale ha per protagonista una giovane donna di nome Felicia, figlia dei duchi d’Aquitania, la cui unica occupazione concessale dal suo nobile lignaggio è quella di recitare poesie e ricamare.
La monotonia della vita al castello è rotta un giorno da un trovatore che parla di qualcosa di diverso: la tomba dell’apostolo Giacomo e il pellegrinaggio di tanti fedeli per raggiungerla. Quelle notizie suscitano in lei una curiosità che la porta alla decisione di recarsi ella stessa alla tomba del Santo. Inizia così a pianificare il suo pellegrinaggio, osteggiata però dal fratello e dal padre che non approvano l'iziativa di imbarcarsi in un'avventura oggettivamente pericolosa per quei tempi per una donzella abituata a un tenore di vita di lusso e agi. Ma la sua volontà supera le opinioni contrastanti della sua famiglia. E così, ignorando gli avvertimenti sui pericoli che la aspettano lungo strada, parte con il suo entourage per Santiago de Compostela incontrando e vedendo con i propri occhi il mondo reale fatto di miseria e malattia che alberga al di fuori del suo giardino ovattato.
Dopo aver conosciutò questa cruda realtà, una volta arrivata a Santiago decide di non tornare più alla sua casa ma prestare la sua opera assistenziale lungo il Cammino ai bisognosi mancanti anche dell'essenziale. Felicia impara così ad apprezzare anche quelle che potevano sembrare le piccolezze della vita.
Si stabilsce in una campagna nei pressi di Pamplona dove impara a svolgere i lavori umili della fattoria.
Nel frattempo il fratello Guillén preocupato per la sua assenza che si è prolungata oltre il previsto, và a cercarla lungo il Cammino chiedendo di villaggio in villaggio finché trovatala, tenta inutilmente di convincerla a rientare nei suoi nobili ranghi e non abbandonare la vita agiata che la aspetta al castello.
Indispettito per il rifiuto oppostogli dalla sorella, perde il senno e la uccide tagliandole il collo.
Troppo tardi, come spesso capita quando non c'è più niente da fare, resosi conto dell'atto scellerato decide a sua volta di recarsi a Santiago per invocare il perdono del suo più grave peccato.
Il corpo della giovane viene sepolto nel villaggio di Amocaín. Dopo qualche giorno, sulla tomba spunta una pianticella con un bellissimo fiore. Gli abitanti incuriositi riaprono la bara e vedendo che il fiore è spuntato proprio sulla ferita mortale inferta dal pugnale del fratello, attribuiscono il fatto al Divino facendolo diventare l'evento miracoloso di cui ancor oggi si celebra la ricorrenza.
Puente la Reina
Nel punto d'incontro del Cammino Frances che parte da Saint-Jean-Pied -de-Port (Navarrese) con quello che parte da Somport presso l'omonimo passo a 1600 metri (Cammino aragonese), un monumento al pellegrino indica che ci troviamo a Puente la Reina, e che "...desde aqui todos los caminos a Santiago se hacen uno solo."
Lungo il Cammino si trovano molti ponti: da quelli costruiti dall'impero romano ai più moderni e contemporanei, passando per il periodo medioevale, con opere erette dai cavalieri templari, o più frequentemente dai sovrani di turno. E' il caso del ponte fatto erigere nei primi anni 1000 per volontà (pare) della regina Doña Mayor sposa del Re di Navarra Sancho Garcés III e che ha quindi dato nome al borgo medioevale.
La regina, dal cuore tenero, non vedeva tanto di buon occhio i traghettatori fluviali che estorcevano somme ingenti ai pellegrini che provenienti da est dovevano attraversare le acque del Rio Arga per proseguire a ovest.
Volle così che gli intrepidi viaggiatori potessero attraversare il fiume senza bagnarsi i piedi, rischiare la vita, o arricchire i traghettatori, a volte accusati anche di brigantaggio. La tradizione vuole che in segno di rispetto e ossequio verso la regina, il ponte debba essere attraversato a piedi scalzi.
Santo Domingo de la Calzada e
le origini dell'appellativo
C'era una volta...
... un giovane pastore originario della Rioja; Domingo.
Come frequente nelle famiglie meno agiate, per garantirgli un futuro un po' decente e con un minimo di cultura il giovane fu educato al monastero di Valvanera.
Una volta cresciuto e divenuto in grado di valutare la forza della sua fede volle abbracciare la vita monastica e chiese di essere destinato al famoso monastero di San Millán de la Cogolla.
Quando la sua richiesta fu accolta, divenne assistente di Gregorio di Ostia, il legato pontificio, che lo ordinò sacerdote.
Alla morte di Gregorio, Domingo si ritirò presso il fiume Oja per condurre una vita eremitica e assistere i pellegrini che andavano a Compostela.
L'appellativo "de la Calzada" gli derivò dopo la santificazione, dalla sua opera nel mantenimento e miglioramento della vecchia strada romana (calzada)che portava da Nájera a Redecilla del Camino.
Nell'anno 1044 costruì un ponte sul fiume Oja, il più famoso di tutta una serie di ponti di cui guidò la costruzione.
Edificò anche una cappella dedicata a Santa Maria, un ospedale e un albergo per i pellegrini, oggi ristrutturato e dove la maggior parte dei pellegrini conosciuti da Domingo difficilmente potrebbero alloggiare. E' infatti diventato El Parador Nacional de Turismo con tariffe tra i 100 e i 400 euro a notte.
Quando conquistò la Rioja nel 1076, Alfonso VI di Castiglia, vedendo che il diffondersi del Cammino contribuiva al suo progetto di feudalizzazione di quella zona, divenne il protettore del Santo, delle sue opere e della sua città.
Il burgo di Santo Domingo de la Calzada, nacque come una manciata di case raccolte attorno alla capanna dell'eremita.
Alla morte di Domingo nel 1109, la popolazione era molto cresciuta. La chiesa di Santo Domingo de la Calzada, dove fu sepolto, fu elevata al rango di cattedrale poco tempo dopo, per diventare poi indirettamente oggetto di leggenda/miracolo.
Santo Domingo de la Calzada e
il miracolo del gallo risorto
Dopo più di 200 anni dalla morte di Santo Domingo de la Calzada, il villaggio era cresciuto e i pellegrini di passaggio trovavano alloggio in una confortevole locanda.
Uno di detti pellegrini, Hugonell, un bel giovane tedesco che si recava in pellegrinaggio a Santiago con i suoi genitori fu adocchiato dalla figlia del locandiere la quale se ne innamoro.
Purtroppo per la ragazza il suo amore non era corrisposto dal giovane tedesco, e a causa del rifiuto, la giovane mise in atto una diabolica vendetta.
Prima della ripartenza della famiglia, la ragazza nasconde una pregiata coppa d'argento tra il bagaglio del giovane. Poi si reca presso le autorità locali e denuncia il furto della pregiata vettovaglia. I gendarmi accorsi per verificare la denuncia, rintracciano il giovane pellegrino tedesco, perquisiscono il suo bagaglio e trovano la coppa d’argento.
Hugonell viene arrestato, giudicato e condannato all’impiccagione eseguita immediatamente. La sentenza non consegna l'amore del pellegrino alla locandiera che rimane con l'amaro in bocca confortata dal dolce ed effimero sapore della vendetta.
I genitori del giovane tedesco, benché distrutti dal dolore per l'immane perdita decidono di portare ugualmente a termine il voto di pellegrinaggio finendo il loro viaggio "ad limina Sancti Jacobi" recando al Santo le preghiere per il figlio morto.
Durante il mesto viaggio di ritorno i genitori di Hugonell passano anche per il luogo dove il figlio era stato impiccato e con gioiosa incredulità scoprono che il ragazzo era ancora vivo grazie ad un miracolo operato per il tramite di Santo Domingo che riportava equilibrio tra l'ingiustizia della locandiera e la rettitudine del giovane.
I due coniugi tedeschi si recono subito dal locale governatore locale per comunicargli la notizia del miracolo e per tentare di convincerlo che questa era la testimonianza dell’innocenza del figlio.
Il governatore che si apprestava a gustare un succulento arrosto, ascolta la storia dei due pellegrini, ma senza credere all'evento miracoloso, e per tutta risposta li sbeffeggia dicendo che il loro figlio era vivo come erano vivi i polli che stava per mangiare.
Dopo aver pronunciato quelle parole, il governatore assistette suo malgrado ad un altro miracolo perché i polli cucinati e pronti per essere mangiati ripresero il loro piumaggio, e tornati a vivere scapparono dal piatto con le loro zampe, lasciando il governatore senza parole e senza arrosto.
Il motto derivato da questa leggenda, e citato dalle guide turistiche ai pellegrini in visita alla cattedrale recita: «Santo Domingo de la Calzada, donde cantò la gallina después de asada». Ovvero: «Santo Domingo della Calzada, dove cantò la gallina dopo essere stata arrostita».
La cruz de los Valientes
in memoria della disputa
per le terre di La Dehesa
Questa “Curiosità” non riguarda ne’ miracoli, ne’ eroismi, ma solo presunti accadimenti storici legati a una disputa tra villaggi e oggi ricordati come "Leyenda de los Valientes".
Narra la leggenda che in tempi andati, ma comunque molti secoli orsono, le città di Santo Domingo de la Calzada, e Grañón, furono teatro di una disputa per un vasto appezzamento terriero ad uso agropartorale (si chiamano genericamente Dehesas = recintati), sito tra le due città.
Gli abitanti di Grañón (Grañoneros) che si arrogavano la titolarità della terra contesa accusavano quelli di Santo Domingo de la Calzada (Calceatences) di usare arbitrariamente il bosco di lecci come pascolo per i loro armenti.
Ovviamente los Calceatences controbattevano affermando che la terra appartenesse loro di diritto.
Come si può immaginare, il clima di tensione si protraeva nel tempo, con continui alterchi, discussioni, e dispetti tra le due fazioni. E come nelle “escalation” militari dei giorni nostri, anche allora si arrivò a brandire le armi.
In una sorta di rivisitazione storica di "orazi e curiazi", prima che la situazione degenerasse los alcaldes delle due città si incontrarono e scelsero ognuno un proprio rappresentante per affrontarsi disarmati in un corpo a corpo decisivo che avrebbe assegnato al villaggio del vincitore il conteso bosco di lecci.
Mentre il rappresentante Calceatense era un lottatore specializzato, nutrito con cibi selezionati, e tenuto in gran forma, il Grañonero, Martín García, continuava i suoi lavori agricoli e si nutriva solo di miseri caparrones (fagioli rossi).
Il giorno decisivo il lottatore Calceatense era stato cosparso d'olio per il combattimento, in modo che il Grañonero non potesse afferrarlo.
Di fronte a questa difficoltà, Martín García forte dell'arguzia che si dice dovuta ai suoi fagioli rossi non si perse d’animo, e infilato un dito nell'ano dell'avversario, lo sollevò e lo lanciò lontano.
Così, Martín García conquistò le terre di La Dehesa per Grañón.
Ricetta originale della Sopa de Ajo.
Così come trasmessami da Maria Uxi, in ligua originale.
In seguito l'ho dovuta richiamare per farmi spiegare cos'è il "pimenton": banalmente paprica dolce, molto usata in Spagna, tanto che la si trova in qualsiasi tienda de alimentacion in "bustine" da 1 kg! Da noi, piccoli vasetti delle spezie da 40 grammi...
Nella mail si parlava anche di altri argomenti del Camino, ma il succo di questa "Curiosità" è la ricetta.
Hola Marco, [...] pero te lo confirmo el próximo lunes porque el fin de semana pasaré por Villasirga y Carrión a una reunión con los amigos de la Asociación de Amigos del Camino de Santiago en Palencia, de la que formo parte.
[...] las sopas de ajo (que son típicas de Castilla y también en algunos sitios les llaman sopas castellanas - (Pablo el mesonero de la escultura de Villasirga las llamaba "sopas con más pan que carne") tienen muchas variantes:
*la más sencilla: Mejor utiliza pan duro y rústico de varios días, se pone agua templada en una cazuela y se parte en lonchas pequeñas el pan duro, se deja a remojo como una media hora antes, después se deja cocer ya añadiendo sal al gusto a fuego mejor lento otros 30 minutos. Mientras cuece el pan en agua, en una sarten pones aceite de oliva y echas a sofreir ajos cortados en lonchas finas, se dejan dorar (que no se quemen, esto es muy importante porque el ajo quemado amarga) y cuando están dorados les añades pimentón en polvo directamente en la sartén (para una cazuela de 2 litros de agua media cucharada sopera de pimentón y la quitas del fuego para que la especie tampoco se queme (el pimentón puedes encontrarlo dulce -ocal- y picante y eso depende del gusto del consumidor). Depositas el contenido de la sartén (aceite, ajo y pimentón - a esto se le llama "sofrito") directamente en la cazuela de las sopas y lo dejar cocer otros 5 minutos removiéndolo para que tome bien todos los sabores.
* Haciendo la misma receta puedes poner tacos de jamón serrano pequeños en un cuenco o bol de barro y después servir en ellos las sopas ya preparadas como te indicaba anteriormente (a esto Pablo Payo -precursor de la hospitalidad en el Camino de Santiago desde su Mesón le llamaba "sopa con más carne que pan" y se come con cuchara de madera).
* Otra posibilidad es, una vez hecha la sopa, servir muy caliente en cuencos de barro y a cada uno añadirle un huevo crudo que se pasará sólo con el calor de propia sopa. Esta es la que más comúnmente se llama sopa castellana y es un alimento completo, salvo para personas con intolerancia al huevo.
* Existe también algo llamado "sopas hervidas" en las cuales la proporción de pan es mucho mayor, se dejan cocer más tiempo y las rebasnaditas de pan se hacen más picadas y quedan más espesas, están muy ricas si, una vez servidads en cuencos de barro las metes en el horno para que la parte de arriba se solidifique y forme un tipo de corteza que está riquísima, es como meter la pizza en el grill, y a esa parte de arriba se le llama "tostas".
En mi tierra dicen que quien come muchas sopas de ajo adquiere poder y mucha fuerza en las muñecas, rodillas, tobillos (es decir en las articulaciones supongo que será por el efecto benéfico del ajo) así que a tí como ciclista mi recomendación de que.
Con todas estas variantes te pongas las botas a sopas de ajo para el próximo Camino.
Marco un gran abrazo y ¡a Comer Sopas! que no es lo mismo que "comer la sopa boba" que decían los medievales, para referisse a las personas que no trabajaban y estaban esperando, sin hacer nada "la sopa boba" (también Aymerich Picaud hace referencia a esta expresión al hablar de los pícaros del Camino.
¡ ULTREIA ET SUSEIA !
Uxi , María Garrido
Lo strano monumento dedicato a Nicolas Frances,
autore della pala d'altare del Duomo della città.
León. In Plaza de la Regla quasi di fronte alla Cattedrale fa bella mostra uno strano monumento in bronzo con una serie di impronte incavate di mani delle più diverse fogge.
L'opera in sè innanzitutto incuriosisce e "invita" semplicemente il visitatore a "provare" con la propria mano l'impronta calzante.
Ma se si è abbastanza curiosi e ci si sofferma a leggere l'epigrafe riportata sul basamento, si scopre che la scultura è dedicata a Nicolas Frances, geniale autore della meravigliosa pala d'altare lignea del Duomo della città, su incarico nientemeno che del leggendario ma, pare, esistito cavaliere leonese Suero de Quiñones; il cavaliere famoso per aver sgominato settanta avversari sul ponte sul fiume Órbigo.
Nell'epigrafe è anche riportato un omaggio alla maestria dell'artista con dovizia di particolari.
Secondo pareri discordi difficili da indagare specie per un pellegrino non di madrelingua, vuole rappresentare (in chiave moderna, poiché l'opera è recente), le mani dei pellegrini che seguono il cammino indicato dal personaggio in uno dei pannelli del dipinto, mentre per altra fazione simboleggia la collaborazione di tutti coloro che hanno partecipato alla costruzione della Cattedrale e collaborato con il Maestro Nicolao al suo abbellimento con dipinti, sculture, miniature, disegni, e vetrate finemente decorate a mosaico.
Resta comunque un monumento criptico, ancorchè curioso e "simpatico" da vedere.
La leggenda / storia del cavaliere Don Suero de Quiñones battutosi per amore sul Ponte Órbigo.
Innanzitutto: perché Leggenda / Storia ?
I più parlano di leggenda, ma a quanto pare si tratta di una storia vera ambientata sei secoli fà in quel di Hospital de Órbigo, precisamente nell’estate del 1434, come attestato da Pero Rodríguez de Lena, notaio del re Juan II de Castilla. Grazie a questo documento è possibile rivivere nei minimi dettagli una delle vicende cavalleresche più singolari del Medioevo spagnolo.
Come in tante vicende romanzate, tutto ebbe inizio per amore. L'amore non corrisposto di Don Suero de Quiñones per la bella Leonor de Tovar. Deciso nei suoi propositi di fal breccia nel cuore dell'amata pensò che fosse possibile conquistarla dimostrandole il suo coraggio e valore con un'impresa che lo avrebbe innalzato a figura eroica.
Storia o leggenda che sia, ha senz'altro lasciato il segno perché perfino Cervantes, due secoli dopo, con la sua penna mette in guardia nientemeno che il suo personaggio di spicco Don Chisciotte.
Si, ma cosa si profila di tanto grandioso da aprire il cuore di una dama?
Ottenuto da Giovanni II Re di Castiglia il consenso ad adempiere ad un voto d'amore, Suero organizza un "onorevole passaggio d'armi" (Paso Honroso): dal 10 luglio, trenta giorni di presidio del lunghissimo ponte sul Rio Orbigo. Qualunque cavaliere volesse passare doveva battersi in torneo contro di lui affiancato da altri nove suoi fedeli compagni d'arme. Si parla di 70 cavalieri che hanno "sfilato" e combattuto contro i promotori della giostra, sospendendo le ostilità solo il 25 luglio giorno di San Giacomo. Non si trattava di uccidere il "nemico" ma solo di vincere la giostra del giorno contro gli avversari di turno confrontandosi come in un "saracino vivente" con lance e spade. Certo, qualche graffio ci scappava!
Ad ogni modo: tutto è bene quel che finisce bene? Più o meno. Suero ebbe la meglio e vinse il torneo al termine del quale si recò a Santiago con i suoi accoliti per i dovuti ringraziamenti al Santo, e inoltre ebbe da Donna Leonor il sospirato "SI" con un bonus di due figli. Ma per essere un vero romanzo cavalleresco intrecciato con la leggenda non può mancare un triste epilogo. Un brutto giorno del 1458 Suero incontra gli scudieri di Gutierre de Quijada (che aveva partecipato senza successo al torneo del Paso Honroso), che senza tanti complimenti lo uccidono ponendo fine a quella follia d'amore di tanti anni prima.
I personaggi passano, le storie si tramandano, i ponti restano.
Falsos amigos. Parole che possono creare... imbarazzo.
Los falsos amigos sono parole spagnole uguali, o somiglianti foneticamente o graficamente ad altre del nostro idioma che inducono ad associarle a tali vocaboli che nulla hanno a che fare con quelle interessate.
A volte lo scambio può portare a situazioni decisamente ...imbarazzanti… E a proposito: se parlate con uno hispanoablante e vi trovate in una situazione ...imbarazzante..., evitate di dire che siete embarazados, perché il vostro interlocutore potrebbe chiedervi a che mese di gravidanza siete!
Alcuni falsos amigos dei più ecclatanti.
Parole uguali:
Spagnolo [simile italiana - traduzione italiana in spagnolo] - (vero significato della parola spagnola)
Burro [burro – mantequilla] – (Asino)
Largo [largo – ancho] – (Lungo)
Nudo [nudo – desnudo] – (Nodo)
Primo [primo – primero] – (Cugino)
Caldo [caldo – calor/caliente] – (Brodo)
Pasto [pasto – comida] - (Pascolo)
e altre simili tra loro:
Llegar [legare - amarrar] - (Arrivare)
Llevar [levare – quitar] – (Portare)
Luego [luogo – lugar] – (Dopo)
Mancha [mancia – propina] - (Macchia)
Salida [salita – subida] - (Uscita)
Embarazada [imbarazzata – avergonzada] - (Incinta)
Parada [parata – desfile] – (Fermata)
Oficina [officina – taller mecanico] - (Ufficio)
Aceite [aceto – vinagre] – (Olio)
Afamado [affamato – hambriento] - (Famoso)
Subir [subire – sufrir] (Salire)
Arroz [arrosto – asado] – (Riso)
e tantissime altre.
Occhio quindi specialmente al contesto in cui si usano le parole che rischiano di diventare persino offensive e … imbarazzanti!
Il miracolo di O Cebreiro.
L’evento miracoloso avvenuto nel 1300 nel villaggio montano di O Cebreiro è attestato con bolle pontificie di Papa Innocenzo VIII del 1487, e di Papa Alessandro VI del 1496.
Nel villaggio era presente un piccolo convento costruito dai monaci benedettini già a metà del IX secolo e che lo custodirono fino a metà del XIX.
Naturalmente, come in tutti i conventi abitati, ogni giorno nella cappella si celebrava la Santa Messa che, come sappiamo, include il sacro rito dell’Eucaristia che ricorda l’ultima cena di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale prima di immolarsi sulla croce volle simbolizzare il gesto offrendo ai discepoli commensali il vino come simbolo del proprio sangue e il pane come simbolo del proprio corpo versati per tutti in remissione dei peccati, esortandoli a perpetuare il rito in sua memoria.
Ora, secondo il mistero eucaristico, durante la benedizione dell’ostia (pane) e del vino, questi diventano ogni volta il corpo e il sangue di Gesù per la presenza in essi di Cristo stesso.
Dopo questo antefatto nozionistico, torniamo all’anno 1300.
Durante un rigido e nevoso inverno, un sacerdote del convento si appresta senza più fede a celebrare Messa.
Forse sconsolato dalla vita solitaria confinata in quella località così fredda e desolata, ha ormai abbandonato la convinzione che nell’Eucarestia sia realmente presente Cristo. Specie in quella giornata gelida e durante una forte nevicata.
Pensa infatti che in simili condizioni nessuno presenzierà alla Messa.
Invece, nonostante le condizioni del tempo proibitive, un contadino di Barxamaior, di nome Juan Santín, sale fino al convento per partecipare alla Messa.
Vedendo tanta per lui ingiustificata determinazione, il prete schernisce il contadino apostrofandolo con un «… tanto sacrificio in mezzo alla tormenta per un pezzo di pane e un po’ di vino!?»
Procede comunque con la celebrazione della Messa, ma il Signore, volendo riaprire alla fede il cuore del celebrante e ricompensare il sacrificio del contadino, opera il miracolo, e così poco dopo aver pronunciato la formula di consacrazione, l’ostia si trasforma realmente in Carne, e il vino in Sangue che fuoriesce dal calice macchiandogli il corporale.
Quando la Regina Isabella, duecento anni dopo, recandosi in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e passando a O Cebreiro venne a conoscenza del miracolo, fece realizzare un reliquiario in cristallo che a tutt’oggi accoglie ancora il calice e la patena oggetto del miracolo.
I caratteristici Horreos galiziani.
Cappelle? Tombe? Monumenti? O cos'altro?
Le misteriose e caratteristiche costruioni Galiziane (ma che troviamo anche nelle Asturie, e nel Portogallo settentrionale) realizzate in pietra, legno, o altri materiali, e nelle fogge più disparate ma ad osservare bene, sempre con alcuni tratti in comune, cosa sono?
Si chiamano Horreos (al singolare: horreo), o in galiziano: vira-ratos per il motivo spiegato tra poco, e sono ... delle dispense di cereali!
Perché sono fatte così?
Essendo dei depositi di cereali, nutrimento e fonte di sostentamento vitale ed economico ottenuto con le fatiche e le risorse che solo chi lavora la terra può conoscere, rispondono a requisiti comuni maturati col tempo e l'esperienza risalenti addirittura all'epoca pre-romana. Sono perciò fatti in modo che in nessun caso le derrate possano rischiare di andare a male, specie per l'umidità e i roditori. Iniziamo da questi ultimi.
E' a tutti noto che i topi si arrampicano senza problemi QUASI dappertutto, e quindi perché non riescono ad entrare negli horreos?
Semplice: la risposta sta in quel QUASI. Infatti il topo riesce a saltare anche per altezze vicine al mezzo metro, e a scalare pareti anche perfettamente verticali, compresi i tubi lisci fognari, ma non riesce a camminare sul "soffitto" rovesciato o su pendenze oltre la verticale.
Gli horreos sono costruiti con una "piattaforma" notevolmente rialzata rispetto al terreno (almeno 1 metro), e abbastanza sporgente in orizzontale su tutti i lati rispetto ai pilastrini che la sorreggono. Quindi inaccessibile per il topo. L'umano invece può accedere tramite scala a pioli da appoggiare solo al momento del bisogno. Naturalmente un horreo "in esercizio" deve essere manutenuto per evitare che nelle adiacenze si sviluppi vegetazione che vanifica le caratteristiche progettuali.
Per quanto riguarda l'umidità e per favorire l'essicazione del contenuto, le pareti sono realizzate in legno o in pietra con piccole fessure a tenuta di pioggia, e a volte nella parte alta vicino al tetto presentano piccole aperture riparate dall'acqua per favorire il ricambio continuo dell'aria e quindi scongiurare la formazione di muffe.
Infine, sul tetto a due falde, non manca mai una croce come simbolo di protezione divina per il frutto dei sacrifici di un'intera stagione agraria.
La Cattedrale di Astorga
non volutamente bicolore.
La Cattedrale di Astorga è stata costruita tra il XV e il XVIII secolo, combinando elementi gotici (navata e cappelle), rinascimentali (portale sud), barocchi (facciata principale) e neoclassici (chiostro) che si sono succeduti nel lunghissimo periodo di edificazione, ma ciò che la caratterizza maggiormente agli occhi del passante è quello strano effetto di bicromia disordinato, dovuto purtroppo ad un remoto evento distruttivo naturale.
Il sisma di Lisbona del 1755 i cui effetti arrivarono a centinaia di chilometri di distanza, danneggiò infatti la torre occidentale della Cattedrale, che fu ricostruita solo nel XX secolo. La pietra utilizzata per ricostruire la torre danneggiata è arrivata ad Astorga a più di 200 anni di distanza e da cave diverse dal resto dell’edificio, per cui il contrasto cromatico tra le due torri è particolarmente evidente.
Nonostante il "difetto cromatico", la Cattedrale di Astorga rimane comunque una delle più amate del Cammino di Santiago, forse per le tre navate che sono una vera e propria lezione di storia dell’arte, forse perché la facciata è rivolta a nord-ovest, mentre la maggior parte delle Cattedrali cattoliche è rivolta a est, forse perché già dal 1931 è stata dichiarata monumento nazionale, o forse proprio per il suo così appariscente "difetto"...
Per essere precisi, anche la Cattedrale di León è affetta dalla stessa bicromia, ma sinceramente non saprei dire se anch'essa a causa di ricostruzioni o semplicemente per i lunghi tempi di edificazione e le diverse cave di approvvigionamento del materiale lapideo.
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