2019-07-27 - Il desiderio del ritorno

Ho un’idea che mi tormenta. Non nel senso cattivo del termine. Ma è diventato un tormento dell’animo. Ha innescato una bramosia crescente che mi sta portando da ormai nove anni ad avere un pensiero fisso che si placherà (forse?) solo nel momento in cui potrò tornare in quei luoghi. Da solo.

Ma proprio QUEI luoghi? Ma non sono troppo turisticamente inflazionati? Tanti pellegrini “veterani” ne parlano con un po’ di spregio, promuovendo i Cammini alternativi.
E anch’io in alcune precedenti esternazioni lamentavo che l’attuale Camino Frances è ormai meta di quello che i media amano definire turismo religioso. Un’espressione, questa si, davvero spregevole. Non vedo quanto più distanti possano essere due concetti come turismo e religione.

Però è un dato di fatto: per una gran fetta di frequentatori del Camino de Santiago le vere motivazioni sono fondamentalmente turistiche o sportive, anche se non lo ammetteranno mai ufficialmente causa l’impossibilità d fregiarsi di un attestato religioso redatto in latino e altrettanto ufficiale come la Compostellana.

E allora vien da pensare: “non mi va di mischiarmi a un’orda di turisti vocianti”.
Poi scopro che il cuore ragiona con altre prospettive, altri punti di vista, che mi inducono a tornare proprio in QUEI luoghi, e non in altri. Perché la guida non è l’aspettativa della scoperta di nuovi orizzonti, ma probabilmente il bisogno interiore di ricalcare le stesse orme millenarie di quei primi pellegrini che finalmente sapevano dove trovare il Santo al quale si erano votati e desiderosi adesso di manifestargli riconoscenza.

Non esiste niente che possa distrarre da così alti propositi; neanche l’essere circondati da gruppi turistici che perseguono i loro legittimi obiettivi. Semplicemente perché anche TU hai il tuo legittimo obiettivo; che è il TUO Cammino.

E allora l’incontro e il confronto quotidiano con altre centinaia di persone che fanno la tua stessa strada non è altro che un’estensione geografica della vita di tutti i giorni in cui ci si rapporta, anche in quella, con nuove persone che saranno rapide meteore senza scie, o resteranno per sempre nella nostra vita o nel nostro cuore.

Io ho bisogno di QUEI luoghi, non so perché, ma è così. Nemmeno mi incuriosisce, almeno ora, la possibilità di arrivare dal Santo attraverso altri sentieri.

E ne ho talmente bisogno che la necessità diventa un tormento. Tormento per il timore che ogni anno si ripeta la stessa storia: “questa volta c’è stato quel problema, ma per l’anno prossimo è deciso”. E ogni anno mi preparo psicologicamente e fisicamente, ma poi arriva puntuale una iattura che fa scoppiare la rosea bolla di sapone a cui stavo appeso e mi fa precipitare nella realtà dell’ostacolo di turno.

Ma perché in tutti questi anni non sono mai riuscito a coronare il sogno del ritorno? Mi sono persino autoaccusato di non aver rispettato l’aforisma di Mao, e mi ritrovo a realizzare che devo anche sbrigarmi: gli anni passano e non so per quanto tempo ancora avrò le condizioni fisiche necessarie all’impegno.


In questi ultimi due anni in particolare il pensiero è spesso tornato indietro non al 2010 anno in cui ho fatto il pellegrinaggio, ma al 2009, anno in cui, con tutto pronto, un giorno pensai: “devo andare quest’anno perché il prossimo è Anno Jacobeo e ci sarà troppa gente”. Pochi giorni dopo ebbi un’incidente in bici e dovetti necessariamente rimandare proprio al 2010, consolandomi al pensiero che forse il Santo mi voleva lì proprio nel Suo anno. Ebbene, è da un paio d’anni che torno a pensare che ancora una volta sia scritto ch'io debba tornare in Galizia in un Anno Jacobeo. Con questo pensiero affronto con un po’ più di fiducia tutti quei giorni in cui mi rode il tarlo.

Nel garage il mio fido destriero che mi ha accompagnato senza un problema per 840 km nell’ormai lontano 2010, ma che nella mia mente è chiaro e fresco come fosse oggi, non solo senza la minima perdita di interesse, ma sempre più ricco di dettagli. É lì che mi aspetta e mi accompagna nelle mie uscite locali per tenermi in forma pronto alla chiamata. Anche se mi accarezza sempre l’idea di andare nel modo antico: da camminante; forse più in là, quando avrò più tempo, se avrò anche la salute.

Nove anni fa, il 27 di luglio, in queste ore avevo compiuto la mia prima tappa, il valico dei Pirenei, e a Roncisvalle avevo già ottenuto il primo sello, il letto, la custodia della bici, lavato i panni e la persona, e finalmente mi accingevo a cenare. Il mio primo giorno di una nuova vita, anche se iniziato dopo il primo chilometro in salita con lo sconforto della fatica sottostimata che mi aveva persino fatto pensare che stessi affrontando una follia destinata all’insuccesso. Dopo una decina di ore ero già sicuro che sarei arrivato alla Meta senza problemi. E cosi è stato.

Tutti gli anni, in questi giorni, soffro ancora per la mancanza di tutto quel che è stato allora, e ancora di più per quel che non è oggi.

Per tutti coloro che sono in partenza o in cammino:
¡Buen Camino!