Ho
un’idea che mi tormenta. Non nel senso cattivo del termine. Ma è
diventato un tormento dell’animo. Ha innescato una bramosia
crescente che mi sta portando da ormai nove anni ad avere un pensiero
fisso che si placherà (forse?) solo nel momento in cui potrò
tornare in quei luoghi. Da solo.
Ma
proprio QUEI luoghi? Ma non sono troppo turisticamente inflazionati?
Tanti pellegrini “veterani” ne parlano con un po’ di spregio,
promuovendo i Cammini alternativi.
E
anch’io in alcune precedenti esternazioni lamentavo che l’attuale
Camino Frances è ormai meta di quello che i media amano definire
turismo religioso. Un’espressione, questa si, davvero spregevole.
Non vedo quanto più distanti possano essere due concetti come
turismo e religione.
Però
è un dato di fatto: per una gran fetta di frequentatori del Camino
de Santiago le vere motivazioni sono fondamentalmente turistiche o
sportive, anche se non lo ammetteranno mai ufficialmente causa
l’impossibilità d fregiarsi di un attestato religioso redatto in
latino e altrettanto ufficiale come la Compostellana.
E
allora vien da pensare: “non mi va di mischiarmi a un’orda di
turisti vocianti”.
Poi
scopro che il cuore ragiona con altre prospettive, altri punti di
vista, che mi inducono a tornare proprio in QUEI luoghi, e non in
altri. Perché la guida non è l’aspettativa della scoperta di
nuovi orizzonti, ma probabilmente il bisogno interiore di ricalcare
le stesse orme millenarie di quei primi pellegrini che finalmente
sapevano dove trovare il Santo al quale si erano votati e desiderosi
adesso di manifestargli riconoscenza.
Non
esiste niente che possa distrarre da così alti propositi; neanche
l’essere circondati da gruppi turistici che perseguono i loro
legittimi obiettivi. Semplicemente perché anche TU hai il tuo
legittimo obiettivo; che è il TUO Cammino.
E
allora l’incontro e il confronto quotidiano con altre centinaia di
persone che fanno la tua stessa strada non è altro che un’estensione
geografica della vita di tutti i giorni in cui ci si rapporta, anche
in quella, con nuove persone che saranno rapide meteore senza scie, o
resteranno per sempre nella nostra vita o nel nostro cuore.
Io
ho bisogno di QUEI luoghi, non so perché, ma è così. Nemmeno mi
incuriosisce, almeno ora, la possibilità di arrivare dal Santo
attraverso altri sentieri.
E
ne ho talmente bisogno che la necessità diventa un tormento.
Tormento per il timore che ogni anno si ripeta la stessa storia:
“questa volta c’è stato quel problema, ma per l’anno prossimo
è deciso”. E ogni anno mi preparo psicologicamente e fisicamente,
ma poi arriva puntuale una iattura che fa scoppiare la rosea bolla di
sapone a cui stavo appeso e mi fa precipitare nella realtà
dell’ostacolo di turno.
Ma
perché in tutti questi anni non sono mai riuscito a coronare il
sogno del ritorno? Mi sono persino autoaccusato di non aver rispettato
l’aforisma di Mao, e mi ritrovo a realizzare che devo anche
sbrigarmi: gli anni passano e non so per quanto tempo ancora avrò le
condizioni fisiche necessarie all’impegno.
In
questi ultimi due anni in particolare il pensiero è spesso tornato
indietro non al 2010 anno in cui ho fatto il pellegrinaggio, ma al
2009, anno in cui, con tutto pronto, un giorno pensai: “devo andare
quest’anno perché il prossimo è Anno Jacobeo e ci sarà troppa
gente”. Pochi giorni dopo ebbi un’incidente in bici e dovetti
necessariamente rimandare proprio al 2010, consolandomi al pensiero
che forse il Santo mi voleva lì proprio nel Suo anno. Ebbene, è da
un paio d’anni che torno a pensare che ancora una volta sia scritto
ch'io debba tornare in Galizia in un Anno Jacobeo. Con questo pensiero
affronto con un po’ più di fiducia tutti quei giorni in cui mi
rode il tarlo.
Nel
garage il mio fido destriero che mi ha accompagnato senza un problema
per 840 km nell’ormai lontano 2010, ma che nella mia mente è
chiaro e fresco come fosse oggi, non solo senza la minima perdita di
interesse, ma sempre più ricco di dettagli. É lì che mi aspetta e
mi accompagna nelle mie uscite locali per tenermi in forma pronto alla chiamata. Anche se mi accarezza sempre
l’idea di andare nel modo antico: da camminante; forse più in là, quando avrò
più tempo, se avrò anche la salute.
Nove
anni fa, il 27 di luglio, in queste ore avevo compiuto la mia prima
tappa, il valico dei Pirenei, e a Roncisvalle avevo già ottenuto il
primo sello, il letto, la custodia della bici, lavato i panni
e la persona, e finalmente mi accingevo a cenare. Il mio primo giorno
di una nuova vita, anche se iniziato dopo il primo chilometro in
salita con lo sconforto della fatica sottostimata che mi aveva
persino fatto pensare che stessi affrontando una follia destinata
all’insuccesso. Dopo una decina di ore ero già sicuro che sarei
arrivato alla Meta senza problemi. E cosi è stato.
Tutti
gli anni, in questi giorni, soffro ancora per la mancanza di tutto
quel che è stato allora, e ancora di più per quel che non è oggi.
Per
tutti coloro che sono in partenza o in cammino:
¡Buen
Camino!