Il Segno


Questa è un'appendice del mio diario di viaggio, che ho deciso inizialmente di allegare separatamente solo in alcune copie della versione cartacea distribuita ad amici e parenti, in modo da essere letta solo da coloro i quali a mio giudizio avessero una visione particolare di questo viaggio.

Forse era un ragionamento discriminatorio, o forse un modo di tutelare l'intimità dei miei pensieri.

Fatto stà che adesso, al completamento del blog, ho deciso di rendere partecipi tutti i lettori, ognuno dei quali potrà farsi le proprie opinioni in merito.

In questo libricino, compare diverse volte la parola “viaggio” ma spesso con accezioni diverse.
Credo di aver deciso così per un segno di riverenza verso il termine “pellegrinaggio” che non reputo adatto ai nostri tempi di vita tecnologica mentre in epoche diverse rappresentava un vero sacrificio con privazioni e difficoltà che oggi è difficile concepire.
Voglia quindi il lettore cogliere di volta in volta il significato del caso da attribuire al termine “viaggio”.







Il segno

luglio 2011, un anno dopo.

Impressioni personali (ma forse non tanto).

Era da un po' che sentivo il bisogno di esternare gli effetti del vissuto, oggetto di questo diario; ma premetto: non voglio “allarmare” nessuno. Il “segno” di cui al titolo di questa appendice, non si riferisce a un “segnale” mistico, quanto piuttosto ad una cicatrice indelebile che mi ritrovo addosso.

In questi 12 mesi di alterne vicende che accompagnano la vita di tutti i giorni, a volte segnati da piccole gioie e purtroppo anche da grandi dolori come quello della perdita di mio padre, c'è stata e continua ad esserci una costante fissa: il "segno" lasciato dentro di me dal Camino. Come facilmente intuibile non è una fastidiosa ossessione, ma al contrario, un piacevolissimo senso di desiderio, una sorta di necessità, in alcuni momenti quasi una sensazione di astinenza da un qualcosa di cui non si può più fare a meno. È il fortissimo desiderio di rivivere quei momenti di intimità individuale al tempo stesso accompagnata dalla presenza reale e fugace degli altri pellegrini, e da quella immateriale di pensieri che non sono mai stati così liberi come nei giorni del viaggio. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui continuo ad essere convinto che questo tipo di mete vada raggiunto "in solitaria".

Tendenzialmente identifico i gruppi numerosi di pellegrini non come tali ma più come turisti. Attenzione: la scelta di non partire in gruppo non significa per niente esiliarsi o cingere il cilicio ma piuttosto assaporare maggiormente quei momenti di convivialità a fine giornata, o gioire ancor più nel condividere una difficoltà o un aiuto da o verso un altro viandante incontrato in cammino, e soprattutto scoprire di provare le stesse emozioni, sensazioni, sentimenti, idee di altri "viaggiatori" sconosciuti ma accomunati dallo stesso richiamo. Cose che compiendo tutto il viaggio con un gruppo di conoscenti o amici affiatati non può essere notato perché "coperto" dalla scontatezza della familiarità. Io posso affermarlo con cognizione di causa perché nonostante la mia pressoché inesistente esperienza in merito, ho vissuto entrambe le situazioni, partendo e pedalando per i primi sette giorni in solitaria e i restanti cinque finali in compagnia di un simpaticissimo e colorito gruppo di sette bicigrini. E nonostante la perfetta integrazione e la compagnia veramente calorosa, il gruppo è foriero a volte di una sorta di freno al libero vagare dei pensieri, e in qualche modo impone un ritmo che in certi momenti può anche essere perturbatore rispetto a quanto dettato in quegli istanti dalla mente.

Non mi stanco di dire che ovviamente si tratta di impressioni strettamente personali di un Marco che non ha timore di affrontare da solo anche gli imprevisti che si possono presentare durante un lungo viaggio. Altro può essere il discorso di chi per sua indole o per necessità non può fare a meno della compagnia o che semplicemente non si fida ad affrontare il viaggio da solo. Sempre ed esclusivamente a mio giudizio, la cosa più bella sarebbe quella di viaggiare con la persona amata, con la quale condividere significa amplificare i piaceri di una manciata di giorni su un altro mondo, e attenuare i problemi e le avversità perché affrontate col supporto affettuoso dell'altro.

E' un segno profondo quello che ti lascia dentro il Camino. Le foto che spesso mi ritrovo a scorrere e il diario di viaggio che rileggo senza noia, e che mi riportano col cuore e con la mente in quei luoghi, non sono il ricordo sbiadito di un viaggio turistico in un paese esotico che si può rammentare gradevolmente ma che tutto sommato, dopo poche settimane cede il posto alla routine quotidiana conservando solo qualche raro spot di quella che è stata una bella avventura, magari da sostituire al più presto con un'altra in paesi ancora più esotici. No. Foto, diario, magliette, souvenir, anche la stessa bicicletta, sono piuttosto una sorta di cera lucidante di una luce sempre vivida che accompagna ogni mio giorno; si, perché senza tema di giudizi altrui, non c'è stato fino ad oggi un solo giorno in cui il pensiero del Camino non abbia fatto capolino nella mia testa. Una vera cicatrice sempre presente e indelebile.

E non si tratta del semplice piacevole ricordo di un bel viaggio. Ho viaggiato abbastanza all'estero dal freddo est al nuovo continente, ma sempre conservando solo ricordi piacevoli ma sbiaditi. Così come ho prima d'oggi visitato la Spagna altre due volte ma come turista. Erano tutti viaggi "di piacere" dettati dalla voglia di conoscere nuovi posti e nuove genti. L'intraprendere il Camino de Santiago è stato dettato da altre motivazioni che è difficile spiegare agli altri e che quando ho tentato di spiegare a me stesso, ho sempre finito per divagare; non so se perché incapace di darmi delle risposte o perché timoroso di svelare un mistero.

Più indietro ho parlato di esperienza riferita al Camino. Esperienza nel senso di conoscenza degli usi, dei comportamenti, ma anche dei luoghi, dei modi di affrontare osticità tipiche, che non pochi pellegrini apprendono grazie alla ripetizione del viaggio. Si, ma come si fa a ripetere una prova così faticosa? E perché?

Iniziando dalla seconda domanda, la risposta è già stata data nelle righe precedenti: è difficile dirlo agli altri, e non lo si vuole sapere da se stessi.

Il “come si fa” è una forza ogni giorno crescente, come un pane che lievita e che trova pace nel montare, solo con la cottura: la nuova partenza. Una medicina che cura i dolori della fatica, perché specie se compiuto senza gli ausili logistici adottati invece dai “turisti del Camino”, si tratta sempre di un impegno gravoso sotto l'aspetto fisico, specie per i non avvezzi. È difficile spiegarlo: io lo vedo come il piacevole e lieve indolenzimento prodotto da un massaggio profondo dopo ore di pesante lavoro.

Il segno è qualcosa di inesistente dopo i classici viaggi turistici.

Dopo un'assenza di due settimane, o vedendoti indossare una maglietta con la flecha amarilla, qualcuno inizia a farti domande e pianpiano la voce si sparge: “Si. Ero sul Cammino di Santiago”.

A seguito di ciò, mi intriga sempre vedere come molti conoscenti e non, venuti a sapere della mia esperienza, o dopo aver letto il diario, reagiscono nei modi più disparati. Chi divertito, chi marginalmente interessato, chi famelico di maggiori informazioni e dettagli, chi quasi con scherno, chi con curiosità, chi dall'alto della sua condizione atea, chi con interesse spirituale, chi con interesse turistico o sportivo, e potrei andare avanti nella varietà di giudizi registrati.

Dicevo che mi intriga perché senza rendersi conto, tutte queste persone con le loro reazioni lasciano trasparire una sorta di profilo personale a volte palese, altre volte totalmente inaspettato.

Indifferentemente dal fatto che tale profilo sia in accordo o in divergenza con il mio, la cosa mi gratifica quando puntualmente al successivo incontro sono loro a tornare sull'argomento e mi trovo a scoprire che covano l'embrione di un'idea volta a trovare da soli sul Camino una risposta alle domande che prima mi avevano posto.

E ogni volta penso: riuscirò anch'io a trovare delle risposte? O avrò il coraggio di cercarle?

Forse la mia prossima volta che spero sia quanto prima.

ULTREYA !
Il Libro finisce qui.
Il Sogno del Ritorno resta nel cuore.

4 commenti:

  1. A ti lu torrare in cosar de bonu

    In bonora fizzo'

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  2. Marco, il segno... ce l'ho scolpito nel cuore, il segno. Vero: chi è stato in ferie, qualsiasi sia stato il posto, da Bora Bora a Bellaria, non torna col segno, non torna con questa nostalgia di riprovare ancora sensazioni uniche, gioie date da minuscoli aspetti vissuti nel cammino, emozioni fortissime e solo tue, cuore aperto come una finestra ad inizio maggio magari nella tua/mia bella Sardegna.
    Così, finito il cammino da SJPdP a Finisterre, a ottobre si va da Lourdes a San Jean Pied de Port. 170 km, così, tanto per gradire... e anch'io a chiedermi il perchè, dal momento che ho sofferto tanto, che una tendinite mi ha avvilito o mortificato per quasi tutto il cammino, che ogni sera mi dicevo Domani torno a casa, non ce la faccio più e invece il mattino piedi dentro gli scarponi e via, a camminare, che a fare le signorine c'è sempre tempo (a casa !!) e qui ci sono per vivere, non per rinunciare! E così si arriva alla fine. Un parto. Del quale si ricorda solo il vagito del tuo bimbo e non il dolore patito prima di sertirlo. Una grazia di Dio. Anche se non sono una buona credente tntomeno una buona praticante, anzi! Leggerò tutto di quanto scrivi, sei simile a me. Dunque grazie. Franca

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    Risposte
    1. Ciao Franca,
      immagino che tu abbia finito il Camino di recente.
      Veramente, da quando ho scritto il capitolo "Il Segno" è passato un altro anno e mi rendo conto che sarebbe forse più corretto dire che sei arrivata a Santiago di recente, e non che hai finito il Camino.
      Si, perché sono del parere che il Camino si possa solo iniziare.
      C'è chi lo percorre a piedi, chi in bici e chi a cavallo, ma al di là della logistica, mi rendo conto che il Camino che ho iniziato non è assolutamante terminato con l'arrivo a Santiago ma continua ogni giorno dentro di me. Non sto a dirti come, perché quello lo so solo io; e probabilmente lo sai anche tu e tanti altri pellegrini, ma ognuno per se stesso.
      Noto che concludi il tuo commento con un riconoscimento di accomunazione. E' lo stesso che anch'io ho da tempo individuato nei diari e nei pensieri di tanti altri "reduci" dall'esperienza. Del resto, come espresso nel capitolo "Benvenuti" lo scopo di questo blog è accomunare, o meglio farci sentire tutti accomunati in quel che ben conosciamo, ma che nonostante tutto, continuiamo a cercare anche semplicemente nella lettura delle altrui testimonianze. Forse nella inconscia necessità di una conferma al fatto che siamo una moltitudine e che pertanto, non saremo mai soli ma accompagnati per sempre da un invisibile sostegno.
      Per concludere, un anno fà scrivevo di una cicatrice che mi rammentava quotodianamente il vissuto di quei giorni. Oggi sono passati più di due anni e non c'è stata alcuna "pausa" o sbiadimento nel ricordo, anzi nel pensiero di tutto ciò; e questo non mi sconvolge affatto ma anzi mi fa stare meglio.
      L'unica cosa che mi duole è il tempo che mi separa dalla ripartenza, che per mille motivi temo proprio che non sarà breve.

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